Il processo di guarigione è spesso lento e complesso, con sfumature che variano da persona a persona. Talvolta si affronta in modo più consapevole, altre volte meno. Non esistono regole universali da seguire, perché ogni individuo è unico e, di conseguenza, lo è anche il percorso che meglio si adatta alle sue esigenze e alla sua essenza. Tuttavia, il mare può rivelarsi un prezioso mentore.

Mi sono spesso chiesta perché il mare eserciti su di me un fascino così profondo. Ci sono molte risposte a questa domanda: i ricordi felici dell'infanzia, il suono rilassante delle onde che si infrangono sulla riva, la meraviglia delle immersioni subacquee che mi hanno rivelato un mondo sommerso straordinario.
La cosa curiosa, però, è che pur amando il mare, ho timore di immergermi completamente in esso senza sapere cosa si nasconda sotto la superficie. Nuoto volentieri, ma rimango vicino alla riva, osservando con ammirazione coloro che si spingono al largo senza esitazione. Pensavo che esplorare i fondali e scoprire la loro bellezza mi avrebbe tranquillizzata, ma non è stato così. Il mio bisogno di controllo prevale su di me in questo ambito. Eppure, non ne faccio un problema: mi godo il mare dalla sabbia, lo osservo, lo respiro, mi rinfresco nelle sue acque senza sentire la necessità di sfidarlo. Ho vissuto esperienze di snorkeling, mi sono tuffata dalle barche e ho riso tra le onde con gli amici, senza mai farmi bloccare dalla paura. Eppure, in certe situazioni, scelgo di restare spettatrice.
Questa apparente contraddizione mi ha portata a una riflessione più profonda: cosa amo davvero del mare? La sua costanza e resilienza. Da secoli e secoli compie la stessa funzione vitale e imprescindibile. Lo abbiamo inquinato, gli abbiamo gettato di tutto, quasi nel tentativo di nascondere il nostro stesso degrado. Eppure, il mare non trattiene. Le sue onde restituiscono tutto alla riva, come a dire: questo non mi appartiene, non lo trattengo dentro di me.
Il Mare, la Rabbia e l'Analisi Transazionale
La metafora del mare si allarga ancora di più se pensiamo alla sua forza indomita. Quando è in tempesta, il mare diventa impetuoso e respinge a riva detriti e materiali. Proprio come la rabbia umana: una tempesta interiore che, se canalizzata nel modo giusto, permette di riportare alla superficie tutto ciò che ci ha ferito, tutto ciò che abbiamo accumulato e che non ci appartiene.
L'Analisi Transazionale, una teoria psicologica sviluppata da Eric Berne, ci aiuta a comprendere il nostro modo di relazionarci con il mondo e con noi stessi. Secondo questo approccio, il nostro Stato dell'Io può essere influenzato da esperienze passate e condizionamenti che ci fanno reagire in modi non adeguati alla situazione presente. Il mare, in questo senso, ci insegna un'importante lezione: non dobbiamo trattenere dentro di noi le tossicità esterne. Possiamo scegliere di non farci carico delle proiezioni altrui, rifiutando di interiorizzare le negatività che ci vengono imposte.
Proprio come il mare non può essere domato, anche la nostra rabbia ha una funzione naturale: segnare un confine, proteggere il nostro spazio. Una rabbia sana non è distruttiva, ma liberatoria. È la forza che ci permette di restituire al mittente ciò che non ci appartiene, dicendo: questo problema è tuo, non lo farò diventare mio.
Come nel viaggio esteriore, anche in quello interiore ci troviamo di fronte a territori sconosciuti, profondità che ci affascinano e al tempo stesso ci spaventano. Ma il mare ci insegna che non dobbiamo avere paura di lasciare andare ciò che non ci appartiene. Possiamo essere spettatori consapevoli, accogliendo le emozioni senza lasciarci sopraffare. Possiamo scegliere quando immergerci e quando restare sulla riva, sapendo che, in entrambi i casi, il viaggio continua.
Il processo di guarigione è lento e complesso. Non vi è una reale linea guida per apprendere come fare, ogni individuo è unico e speciale e necessita di un suo percorso ad hoc per raggiungere ciò che desidera. Il mare può però essere mentore di questo percorso.

Ho riflettuto spesso sul perché a me piaccia così tanto il mare. Credo possano esserci davvero tante risposte a questa domanda, ricordi di infanzia Felici, il suono rilassante dell’infrangersi delle onde, l’aver avuto la possibilità di fare diving e scoprire che mondo meraviglioso ci sia sotto nei fondali marini.
Sapete cos’è la cosa divertente? A me entrare in acqua, e non sapere cosa ci sia sotto spaventa. Faccio il bagno molto volentieri ma rimango sempre a riva, guardando ammirata le persone che si spingono più in largo non ponendosi le stesse domande che mi pongo io a quanto pare. Pensavo che dopo aver fatto immersione e aver visto quante cose belle ci siano lì sotto mi sarei rasserenata, ma no, a quanto pare il bisogno di controllare ciò che non può essere controllato in questo ambito prevarica su di me. È una di quelle cose che non mi ha mai dato fastidio, semplicemente mi godo il mare sulla sabbia, lo osservo, ma non sento il bisogno di spingermi al largo. Mi sono anche spronata senza problemi, mi sono tuffata dalle barche quando si andava in giro a fare escursioni, mi sono immersa nei fondali, ho fatto snorkeling, ho fatto il bagno con alcuni miei amici e ogni tot mi buttavo sulla schiena di qualcuno e si rideva. Tendenzialmente non mi sono mai fatta bloccare dalla paura. In questo caso però rispetto, osservo, immergo i piedi, mi rinfresco quando fa caldo. Preferisco essere una spettatrice.
Quindi lo trovo contraddittorio il mio amore sfrenato per il mare. E sapete quale pensiero mi è venuto a riguardo che mi ha fatto capire come mai io lo ami così tanto? La sua costanza e resilienza. Passa tutto il giorno da secoli e secoli a svolgere la stessa mansione, vitale e importante. Lo abbiamo inquinato, ci abbiamo gettato di tutto al suo interno, quasi nel tentativo di nascondere. E il mare cosa fa di risposta? Le rive ce lo dicono. Rispedisce tutto al mittente.
Il mare mi ha sempre lanciato un messaggio importante, non importa quanto cerchino di inquinarti e farti del male. Tu non trattenerlo dentro di te, lascialo uscire fuori.
Trovo molta coerenza anche tra rabbia e tempesta. Un mare agitato. Sono i momenti in cui il mare è più agitato che poi si possono trovare il giorno successivo i materiali e oggetti più disparati a riva. Un mare agitato ricorda poi che nonostante si cerchi di sentirsi padrone di qualcosa non c’è padrone che tenga al mare. Ci proviamo in tanti modi, ma se lui quel giorno si arrabbia non ci sono tecnologie in grado di fermarlo. Credo sia molto potente riflettere su come il mare possa agire metaforicamente come l’essere umano. Una persona può subire, può essere inquinata e la rabbia serve proprio per ristabilire un confine, ricordare che una persona non deve prevaricare i limiti che noi poniamo. La rabbia è attivante, muove, ci permette di tirare fuori un’energia che tante volte non sappiamo di avere. Serve a riportare a riva ciò che di brutto si è cercato di instillare dentro di noi. È una rabbia sana, non volta a ferire il prossimo e rimanere così vittime di una catena infinita di un domino di dolore. Serve a proteggere, a permettere di cambiare ciò che non va.
Rispedire al mittente ciò che di male ci ha fatto non significa fare male a nostra volta, ma semplicemente non prendere, essere impermeabili: “questo problema è tuo, non lo farò diventare mio”.
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